Era un sabato pomeriggio dei primi giorni di Ottobre di tanti, tanti, anni fa, la temperatura era tiepida al punto giusto da non farti trovare scuse per non uscire in fuoristrada.
La combriccola era la solita: il sottoscritto, “faccia di gomma” e “frenk” tutti su Honda XR 600R, più “il rosso” con Yamaha TT 350.
Dopo aver girovagato nei boschi del Pinerolese ed essere transitati dal Colle del Cro, eravamo poi ridiscesi sino al Talucco dove ci eravamo fermati in trattoria per un veloce pranzo a base di agnolotti e qualche famoso “tomino del Talucco”.
In seguito al gruppo si erano aggiunti tre amici di faccia di gomma… due erano dei ragazzotti in sella a dei due tempi CRE 250 e WR 250, mentre il terzo su Husqvarna 610 4T era una vecchia pellaccia dell’enduro con un paio di Dakar sulle spalle. Complice il vino ed una grappa bevuta tutta di un fiato, “il rosso” incominciò ad agitarsi per rimettersi in cammino, e con la sua voce stridula e nasale imprecava ad alta voce: “minchia m******, andiamo che è tardi!”. Forse in lui c’era un desiderio inconscio di rifarsi per la figuraccia del mattino, dovuta ad un capottamento su un salitone “quasi alpinistico” nei pressi del campo da motocross di Baldissero, il capottamento gli era costato una leva storta ed una bella ferita ad un dito della mano, fortunatamente il pacchetto di cerotti che mi portavo sempre dietro mise una pezza al dito sino al termine della giornata.
Così il gruppo si rimise in marcia e di sterrato in sterrato arrivammo a Porte di Pinerolo, dove attraversato il paese ci fermammo all’inizio di uno dei pochi tracciati autorizzati dalla Provincia per la pratica del fuoristrada a due ruote.
A quell’epoca esistevano due tipi di percorsi: quelli segnalati in giallo per le moto da enduro e quelli blu per le moto da trial... e quella mulattiera era contrassegnata in blu!
Questa percorso era chiamato “la mulattiera delle vedove” e la cosa già incuteva un pò di timore reverenziale per chi come me non la conosceva, e per questo suo soprannome esistevano ben tre leggende in merito...
La prima racconta che questa mulattiera passa vicino al vecchio cimitero posto sopra il paese, e veniva percorsa in gran parte dalle vedove che andavano a trovare i loro mariti deceduti durante le due grandi guerre mondiali, e per questo motivo era stata chiamata così.
La seconda, forse la più probabile, racconta che in un passato neppure troppo lontano, veniva percorsa dai pastori e dai “marghè” che portavano a valle il bestiame ed i formaggi da vendere al mercato, i quali durante il ritorno agl’alpeggi spesso venivano assaliti dai briganti, che oltre a togliergli borsellino spesso gli portavano via anche la vita… e così questa mulattiera si trasformava in una “fabbrica” di vedove e da lei prendeva il nome.
La terza, fantasiosa e totalmente improbabile, dice che deve il suo nome alle numerose vittime che miete tra gli enduristi... anche se a mia memoria non era mai morto nessuno, ma in ogni caso il nome provocava una certa apprensione nel doverla affrontare per la prima volta.
Sta di fatto che “il rosso” aveva ricominciato ad agitarsi ed a sbraitare “minchia ma siamo sempre fermi! m****** m******!” e premeva per lanciarsi su per la mulattiera... così domandai a “faccia di gomma” se era difficile visto che era indicata per le moto da trial. “Tranquillo vai su in seconda giocando con il gas... basta che non ti fermi e sei a posto”, però non mi fidavo molto e lo sguardo divertito del tipo con l’Husky non mi rassicurava di certo. I due tizi con i 250 dissero che avrebbero fatto la strada “normale” e che ci avrebbero aspettato in cima, ma se io volevo provare la mulattiera avrebbero aspettato qualche minuto “nel caso” fossi tornato indietro.
Così ci infilammo in quella mulattiera a gradini di pietra liscia, delimitata dai muri a secco in pietra... io chiudevo il gruppo e devo dire che non mi sembrava poi così terribile, ma dopo una decina di gradini la loro altezza incominciò ad aumentare, finché non mi trovai in una stretta curva davanti a quello che doveva essere un gradino ma che a me sembrava una muraglia impraticabile. La tecnica per affrontarlo era quella di andare in appoggio sul muretto laterale in modo di non dover aggredire il gradino perpendicolarmente... inutile dire che la moto si piantò spegnendosi ed io ruzzolai a terra sul fondo tutt’altro che morbido.... incomincia ad imprecare scomodando tutti santi che mi veniva in mente, la moto non voleva saperne di partire ed io ero già esausto pur essendo solo all’inizio del percorso, così tra una bestemmia e l’altra sentenziai “cazzo vado in moto per divertimi, mica per finire all’ospedale!”.
Intanto il gruppo si era ormai allontano lasciandomi da solo, così con mille sforzi e bestemmie capottai la moto in direzione della discesa e spintala giù, dopo un po di metri si riaccese riportandomi all’inizio del percorso, dove i due ragazzotti mi stavano aspettando divertiti
e mi chiesero: “dura eh?”.
“Fanculo a quel piciu di faccia di gomma!” risposi loro
Così riaccendemmo le loro moto ci dirigemmo in quota verso la “Fontana degli Alpini” percorrendo la strada normale, si trattava di un bello sterrato veloce aperto al traffico, dove le uniche insidie erano le curve cieche dove era facile imbattersi nel vecchietto di turno, che ritornava da cercare i funghi e che viaggiava a centro strada a bordo della sua FIAT 850. Arrivati a destinazione ci fermammo ad aspettare i “piloti”, avevamo tutto il tempo di toglierci il casco e fumarsi (a quell’epoca fumavo ancora) una bella sigaretta come fanno i veri sportivi
Dopo una decina di minuti incominciammo a sentire il rombo degli scarichi aperti ed un paio di minuti dopo, affrontando l’ultimo gradone comparvero alla vista... ansimavano al punto di non riuscire quasi a parlare, gl’ultimi gradoni erano stati superati tirando su le moto a mano una alla volta. “ah sei qua?” mi chiese faccia di gomma, “si testa di c****! tu e la tua mulattiera di m****!” risposi vagamente alterato, intanto quello dell’Husky ghignava divertito... anche perchè era il meno stanco di tutti, gl’altri erano paonazzi e senza fiato, grondavano sudore da ogni poro e prima di riprendere il giro passo parecchio tempo, al punto che riuscimmo a fumarci una seconda sigaretta.
La giornata proseguì in modo “normale” sino al momento di salutarci, che come da tradizione avveniva davanti ad un fresco boccale di birra in una bocciofila di Rivalta piuttosto squallida, ma gestita da una prosperosa ed avvenente signora che ripagava e faceva sorvolare sull’arredamento.
In seguito tornai ancora alla “mulattiera delle vedove” ma la feci sempre in senso opposto, e nonostante ciò la trovai ugualmente impegnativa in quanto bisognava saltare da un gradone all’altro per evitare di deformare e schiacciare i tubi del telaio e spegnere la moto... ma non era sicuramente un percorso per moto da enduro.
Il mese scorso transitando nei pressi di Porte, mi è tornata in mente la “Mulattiera delle Vedove”, e così con un pò di nostalgia nel cuore ho pensato di raccontarvela, in modo semiserio, così come l’ho conosciuta e vissuta...
Spero di non avervi annoiato.